In diretta con Eddi Marcucci: dal Rojava alla sorveglianza speciale
Questa mattina, sabato 21 novembre, in diretta con noi Maria Edgarda Marcucci per raccontarci la sua storia intervistata dalla giornalista Alessia Taglianetti.
Il 12 novembre si è tenuta l’udienza d’appello contro la sorveglianza speciale a Maria Edgarda Marcucci, Eddi, la partigiana a cui, dopo il ritorno dal Rojava, dove ha combattuto contro l’ISIS, è stata limitata la libertà pur senza aver commesso alcun crimine.
La procura di Torino la ritiene “socialmente pericolosa” perché ha partecipato a un presidio di fronte a un ristorante torinese in difesa di alcuni lavoratori che non venivano pagati da mesi e per aver partecipato a una manifestazione del 1° maggio (nonostante Eddi fosse all’estero proprio in quei giorni, ndr).
Lo scorso 16 dicembre, poi, è stata aggiunta alle accuse la partecipazione a un presidio di fronte alla camera di commercio di Torino contro la fornitura militare italiana alla Turchia, responsabile dell’invasione dei territori della Siria del nord e della persecuzione dei curdi turchi.
Eddi ha combattuto in prima persona in Siria, tra il 2017 e il 2018, per nove mesi, e per il tribunale di Torino l’aver combattuto l’ISIS con le milizie curde la renderebbe “socialmente pericolosa”, infatti è stata condannata lo scorso 17 marzo a due anni di sorveglianza speciale.
Si tratta di una misura di prevenzione che abbiamo ereditato dal regime fascista e costituisce tuttora una vera e propria arma nelle mani dello Stato che, di fatto, legittima la repressione di qualsiasi forma di dissenso.
Sia in Italia che in Europa, infatti, si è più volte discusso sulla sua legittimità costituzionale e sulla conformità di tale provvedimento ai principi contenuti nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in quanto può essere applicata anche solo sulla base di indizi e senza prova alcuna di commissione di illeciti.
Le “prove” portate sul tavolo della procura di Torino hanno poco a che fare con il fatto che Eddi sia stata tra le fila delle YPJ, l’unità di protezione delle donne, brigata femminile della milizia di unità di protezione popolare YPG.
L’YPJ si è unita all’YPG nel combattere contro tutti i gruppi che mostravano l’intenzione di portare la guerra civile siriana nelle aree abitate in prevalenza da curdi ed è stata spesso soggetto di attacchi da parte dello stato islamico, oltre a essere coinvolta nell’assedio di Kobane.
Eddi ha scelto di combattere per difendere il diritto di tutt* ad autodeterminarsi, a vivere secondo coscienza, e questo è esattamente ciò a cui dovrebbe aspirare ogni società che sulla carta si definisce laica e democratica.
Dopo la condanna, dal momento che le è stato impedito di partecipare e prendere parola durante eventi e manifestazioni pubbliche, la partigiana Eddi ha portato avanti la sua lotta sui suoi canali social fino allo scorso 13 novembre.
Dopo l’udienza, però, i suoi canali social sono stati inspiegabilmente oscurati e, ad oggi, Facebook e Instagram – né tantomeno la procura di Torino – hanno dato una spiegazione a questo provvedimento, perché i suoi interventi mai hanno violato le linee guida delle social community.
Per questa ragione abbiamo voluto dar voce alla sua storia, provando a fornirle un canale alternativo attraverso cui trasmettere questa grave violazione dei suoi diritti, anche perché si tratta di un provvedimento che costituisce un pericoloso precedente per chiunque decida di sostenere anche altre lotte: in primis colpisce tutti i combattenti andati in Siria, ma anche chi partecipa alle manifestazioni No Tav, piuttosto che a sostegno dei lavoratori o di altre categorie che vivono situazioni di disagio.
Qui potete riascoltare le parole di Eddi Marcucci intervistata dalla nostra giornalista Alessia Taglianetti: